#Scissione

“Non mi convince questa lettura della separazione consensuale. Io non intendo dare il mio consenso ad un’operazione di vertice che ha come obiettivo spaccare il PD e la sinistra in un momento così delicato e difficile per il Paese. Ora è il momento dell’unità, anche nella diversità, ora è il momento in cui abbiamo deciso di assumerci una responsabilità troppo grande, quella di tornare al governo. Di questa responsabilità, prima o poi dovremo rendere conto, di fronte al nostro popolo e di fronte alla storia. Cerchiamo, per favore, di esserne all’altezza”

Non mi unirò al coro di retroscena e giudizi che si leggono in queste ore sulla possibile scissione. Perché non credo sia un modo serio di fare politica per un gruppo dirigente, anche territoriale. Mi limito a riportare un passaggio di ciò che ho detto ieri nel mio intervento in Direzione Regionale del Partito Democratico Piemonte.

Oggi lo penso ancor di più.

La nostra Storia 

Oggi Assemblea Nazionale del Partito Democratico a Roma. Non ho detto e scritto nulla in questi giorni convulsi. Non l’ho fatto di proposito perché vista la fase delicata non credo serva rafforzare lo schema delle tifoserie di parte. Serve invece riflettere, pesare le parole, ricordare a tutti e tutte che prima delle nostre ambizioni viene il paese che abbiamo scelto di servire. 
Prima della nostra storia personale viene la nostra storia collettiva. Una Storia grande e importante. Nessuno si arroghi il diritto di buttarla via. 

Nessuno. 

Su Italicum e Consulta 

Passare da una legge ultra-maggioritaria ad una estremamente proporzionale non è una  buona notizia per nessuno. Tranne per colore i quali godono per l’instabilità del sistema e per gli eterni “gattopardi”.

Detto ciò: 

1) Da domani, se andremo al voto con la legge uscita dalla consulta, avremo larghe intese perenni. Con buona pace del centrosinistra, dell’Ulivo, della sinistra e della società civile. Contenti voi. 

2) Non esistono leggi elettorali perfette ma di sicuro è da folli continuare a cambiarle ad ogni giro di boa. Le leggi elettorali sono le regole del gioco, cambiarle di continuo significa delegittimare il gioco. E quando questo “gioco” si chiama Democrazia rappresentativa, questa cosa non va affatto bene.

3) Dati per letti i primi due punti vorrei però dire al mio Partito, segnatamente al gruppo dirigente e al suo segretario, che esiste un modo molto semplice per non farsi bocciare le leggi dalla Consulta. Basta approvare buone leggi. E l’Italicum semplicemente non lo era. E lo abbiamo detto in molti, da subito. Vi abbiamo chiesto di non forzare la mano, di non spaccare il partito e di non porre la fiducia. Avete fatto il “diavolo a quattro” per portarla a casa questa legge elettorale ed ora ci troviamo in questa delirante situazione. Con la “prima repubblica” che ritorna prepotentemente sulla scena. 

Chiunque abbia a cuore le sorti del nostro paese si impegni per votare in parlamento una legge migliore di questa, che ci consegni un vincitore e che garantisca rappresentanza. Il mattarellum come dicono in molti è un ottimo punto di partenza. Se questo non sarà possibile faccio i miei migliori auguri a tutti quanti, faremo un balzo indietro nel tempo di parecchi anni. 

NEMESI

Esattamente sei anni fa, il 6 novembre 2010, in una sala convegni di Roma, un’assemblea di una maggioranza fischiava e urlava contro un’altra assemblea di una minoranza riunita in una vecchia stazione dismessa di Firenze. Oggi, in una sala di una vecchia stazione dismessa di Firenze un’assemblea di una maggioranza fischiava e urlava contro una minoranza.

A me hanno disgustato sia i fischi di sei anni fa, sia quelli di oggi. 

Vedo che invece molti hanno cambiato idea sui fischi. 

Chi li subì all’epoca, non ha capito nulla ed ora è peggio di ciò che voleva cambiare. 

Chi sei anni fischiò, scopre solo ora quanto sia arrogante il potere agito in quel modo, dopo esserne stato interprete per decenni. 

Il nostro Partito ha bisogno di superare tutto questo e di costruire una nuova classe dirigente che rinunci ai fischi, a tutti i fischi. Per ripartire e costruire il futuro di una moderna e liberale sinistra italiana.

La domenica del referendum #1

Vorrei iniziare oggi ad entrare nel dibattito referendario in modo più puntuale e preciso di come abbia atto fino ad ora. Ne sento l’esigenza, nel profondo, perchè stare fuori da questo confronto alla fine mi pare da pavidi, da equilibristi. Avvicinandosi un appuntamento così fondamentale ogni cittadino deve prenderne parte. Io non voglio essere da meno.

Ammetto lo spaesamento di questi ultimi mesi, la tentazione di chiamarmi fuori, di non buttarmi nella rissa, cifra di ogni dibattito politico di questo paese. La dialettica si usa come arma per ferire l’avversario, si tira all’estremo per delegittimare e, alla fine, per descrivere una realtà manichea in cui se si afferma la propria idea vincerà “il Bene” mentre viceversa vincerà “il Male”.

Niente di più lontano dalla politica per come la concepisco io, niente di più perverso se si affronta un dibattito di rango costituzionale. Occorre, quindi, capire come entrare nella peggior campagna referendaria di sempre, senza cedere alle tifoserie, ma facendo ordine e pulizia tra i mille cori da stadio e cercando di arrivare all’essenza della cose, senza la pretesa di esserne io l’unico interprete. Al contrario, cercherò, ogni domenica, da oggi fino al 4 dicembre, di sottoporvi più riflessioni che mi colpiranno per la lucidità ed onestà di analisi degli autori, cercando di spiegare il perchè e di far emergere anche il mio punto di vista.

Non mi sottrarrò dal prendere una posizione, ma lo farò con il mio stile, perchè non mi voglio arrendere allo spirito del tempo, urlato, volgare e spesso ideologico. Non voglio essere frainteso; il mio non vuole essere un modo per distiguermi a tutti i costi o per affermare una superiorità morale o intellettuale. Voglio solo porre un argine alla deriva di questo tempo, dire a me stesso e a chi leggerà queste righe che è ancora possibile fare politica oggi senza trascendere sempre ed a sproposito nel frame della luce e del buio. Perchè la realtà è complessa e plurale. Il compito di un riformista è quello di leggerla nelle sue moltepilci declinazioni senza cedere alle semplificazioni. Non per sottrarsi alla passione e alla radicalità, al confronto duro e aspro quando serve, ma sempre con la consapevolezza che l’interlocutore è una persona che merita rispetto.

Quindi si parte con la prima puntata di “La domenica del Referendum”, sperando di portare un contributo utile.

La lettura che vi consiglio oggi è di Enrico Rossi, potete leggerla qui.

Mi ritrovo molto nelle sue parole; parla di PD e di riforma costituzionale, dei limiti e dei punti di forza. Parla anche di ciò che potrà succedere un minuto dopo il voto del 4 dicembre al nostro paese e al nostro partito. Tema questo, che mi preoccupa molto più di tanti aspetti che sento evocati in questa campagna.

Sulla stessa questione, quella dell’attimo dopo il referendum, ha scritto anche Fabrizio Barca qualche settimana fa. Riporto qui anche il suo contributo, come sempre preciso ed illuminante.

Buona domenica a tutti!

Interessanti riflessioni dopo il voto

Ho letto molte cose dopo il voto di domenica e come già detto altrove ritegno utile aspettare il ballottaggio per una più attenta analisi sul voto.

Ciò detto ho trovato comunque assolutamente puntuali e interessanti i contributi di Marco Damilano su l’Espresso (come spesso accade) e quello di Ezio Mauro su la Repubblica. Al secondo vorrei rimproverare una tardiva conversione ma lasciamo perdere.

Buona lettura!

Le parole di Daniele

Sono giorni difficili lo ammetto, dovevamo scrivere una pagina storica e invece la politica si è arresa, ancora una volta. Delle mie aspettative avevo scritto qui e qui

È evidente che le cose siano andate molto diversamente. 

Le responsabilità sono ampie e condivise. Chi le scarica addosso a qualcuno in particolare o è in malafede, o non capisce nulla di politica. 

Per il resto la penso come Daniele, e vi consiglio le sue parole

Alla nostra generazione rimarrà ancora il compito di affermare i diritti, non ci fermerete. 

Le due strade 

di Robert Frost

Due strade divergevano in un bosco giallo e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe

ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo a guardarne una fino a che potei.

Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella, e aveva forse l’ aspetto migliore perché era erbosa e meno consumata, sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.

Ed entrambe quella mattina erano lì uguali, con foglie che nessun passo aveva annerito.

Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!

Pur sapendo come una strada porti ad un’altra, dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro da qualche parte tra anni e anni:

due strade divergevano in un bosco, e io –io presi la meno percorsa, e quello ha fatto tutta la differenza. 

Ho pensato subito a questa poesia quando oggi Renzi ha descritto le due strade che abbiamo di fronte per approvare la legge sulle unioni civili. 

Questa mattina scrivevo delle aspettative rispetto alla sua relazione di fronte all’assemblea nazionale. Aspettative non completamente tradite perché devo ammettere che alcune parole chiare (non tutte quelle che avrei voluto però) sono state dette da Renzi (e non solo – questo il link dell’intervento di Daniele Viotti) sulla volontà politica chiara del Pd di portare a casa la legge. 

Certo però le due strade prospettate sono fortemente in antitesi e una di queste rischia di ridimensionare a tal punto il DDL da renderlo, non dico inutile, ma di sicuro fortemente al di sotto delle aspettative di molto di noi. 
Seguire la maggioranza di governo chiedendo la fiducia su un maxiemendamento del governo vorrebbe dire stralciare le adozioni e forse anche la parte riguardante l’equiparazione al matrimonio. Ma garantirebbe di sicuro una legge sulle unioni civili, debole e per nulla soddisfacente, ma almeno una legge. 

Andare in aula invece cercando i voti articolo per articolo, aprirebbe al Vietnam degli emendamenti canaglia e dei voti segreti, con il rischio di far saltare tutto l’impianto della legge, oppure addirittura di peggiorarla se dovessero passare alcuni emendamenti. Chiaramente però, questa seconda strada, se andasse a buon fine, porterebbe a compimento la legge nella sua totalità votata da una maggioranza diversa da quella del governo. 

Ora la scelta è nelle mani del gruppo PD al senato che martedì sera deciderà quale percorso imboccare. Sono evidenti i rischi, le trappole lungo il sentiero sono molte. Ma la richiesta che arriva dal paese è più forte dei tatticismi, i volti delle tante persone che in questi anni hanno chiesto solamente di vedere riconosciuto il loro amore, i diritti dei bimbi delle famiglie arcobaleno ci impongono ancora una volta una scelta di coraggio. 

Io spero che il nostro Partito sappia scegliere guardando al futuro. Come spero che il m5s si dimostri all’altezza della sfida, diversamente da come ha fatto la scorsa settimana. 

Lo sperano quegli amore negati che nessuno capisce a chi e perché dovrebbero far paura. 

“…due strade divergevano in un bosco, e io –io presi la meno percorsa, e quello ha fatto tutta la differenza…”

Dobbiamo poter dire di aver fatto la differenza, non c’è il Partito Democratico in ballo, ma la vita vera di uomini e donne che devono poter smettere di avere paura, come ha splendidamente detto Benedetto Zacchiroli oggi nel suo intervento.

La sensazione di star scrivendo una pagina di storia impone il più alto senso di responsabilità a tutti. Le speranze più belle del paese guardano al senato e ripongono nei nostri parlamentari e non solo la loro fiducia: non tradiamola ancora una volta. 

Senza il PD

Sono in viaggio verso Roma e spero di sentire oggi parole chiare e certe sul percorso che il DDL Cirinnà ha davanti a sé. 

Spero di sentire un segretario convinto e coraggioso nel dire che la legge non si cambia e che i voti possiamo averli sfidando tutto il parlamento su una legge di civiltà. 

Il PD in questa partita è l’attore principale, senza il nostro partito non vi sarebbe in questo momento nessuna discussione su una qualsiasi legge sulle unioni civili. Senza il Partito Democratico oggi non staremmo parlando di questo. 

Questo se lo devono ricordare tutti, ma proprio tutti, e lo ricordi anche Renzi oggi in assemblea, anche a qualcuno dei nostri che pensa di fare il furbo in senato. 

Prometto aggiornamenti dall’assemblea! 

Renzi sbaglia a seguire la “percezione”

Di reato di clandestinità ne parlavo pochi giorni fa nel post precedente. Ero convinto che le cose sarebbero andate in modo diverso, lo ammetto.

Speravo proprio di vedere questi pochi passi compiersi per superare la vergogna di quella norma una volta per tutte. 

Invece no, il premier ha deciso di seguire “la percezione del fenomeno”, sbagliando clamorosamente. Non solo per ragioni di cultura politica ma anche perché così facendo si amplifica il problema che si pensa di risolvere con questa azione, o sarebbe meglio dire non-azione. 

Se i cittadini hanno una percezione diffusa di mancanza di sicurezza questa non si placherà mantenendo una norma assurda, discriminatoria e per altro inutile. 

È chiaro che se facciamo credere ai cittadini che la loro sicurezza sarà garantita da norme del genere, poiché questo è il messaggio che il premier lancia con le sue parole, allora non lamentiamoci se cresce la xenofobia e la paura del diverso.

Per altro questa paura si amplificherà nella frustrante constatazione che quella norma non ha alcun ruolo nella tutela della sicurezza di chicchessia. Insomma un errore politico grande come una casa e pure tattico. 

Io onestamente avrei preferito sentire  parole tipo queste: 

“Il tema della sicurezza sta assolutamente a cuore al governo, convinti come siamo che la politica serva innanzitutto a liberare le persone dalla paura. Ma una legge che punisce le persone per ciò che sono, per il loro status, e non per quello che fanno è inutile e discriminatoria e non tutela nessuno e in alcun modo. Oltre che ingolfare il lavoro di PM e tribunali. Quindi, per queste ragioni, aboliremo il reato di clandestinità, perché desideriamo come voi un’Italia libera dalle paure e sicura, ma la vogliamo sicura e civile, faro dei diritti e delle garanzie. Anche della garanzia che chi sbaglia paga, certo, chiunque esso sia, da qualunque parte del mondo provenga”. 

Queste parole invece non sono mai arrivate, ne sono arrivate altre come queste e queste, che onestamente non capisco e non condivido. 

Stiamo commettendo un errore enorme. Dando un messaggio errato e dannoso. Mai sentito parlare di “profezia che si autoadempie” ?

Ci vuole coraggio per guidare un paese e per non farsi guidare dalle percezioni e dagli istinti più reconditi e bui. Già, ci vuole coraggio.