Il mare

Essaouira, Marocco

Anche dal Marocco, dove mi trovo per qualche giorno di vacanza, sento tutta la vergogna per quanto sta accadendo in Italia. Voglio provare, con le parole di un grande scrittore, a seminare un po’ di bene in mezzo a questo campo di male in cui sguazzano i seminatori di odio. È un esercizio di resistenza, a cui credo dovremmo tutti abituarci.

“…In Marocco il mare e il deserto si sono intrecciati in un vortice di domande, e nessuno è in grado di svelarne il significato molteplice, devastante, impossibile. Nessun bisogno di preamboli e riverenze verso ciò che non possiamo dominare. Allora lo disegniamo, lo rappresentiamo, lo trasferiamo nell’adulazione di tutti i suoi misteri. […] Il mare è anche una speranza che finisce male, una scommessa che scava un’immensa fossa, vascelli di carta che sprofondano nel cuore della notte e altri che si innalzano come statue sconvolte dalla bellezza del mondo, dalla grazia di una grande speranza. Dall’inizio degli anni Novanta, il cimitero marino del Marocco continua a inghiottire corpi che poi scaraventa sulle spiagge di Almería. Il mare è anche questa tragedia quasi quotidiana….”

(Tahar Ben Jelloun, “Marocco, Romanzo”)

 

Genova, quello che vorrei dire.

Quello che vorrei dire sui fatti di Genova sta tutto qui. Ne sento il bisogno, non per prendere parte alla bulimica giostra di commenti di questi giorni. Per provare piuttosto a trovare un modo per uscirne.

Tutto ciò che voglio dire su Genova è racchiuso qui sotto a queste righe che risulteranno una forse inutile premessa. Tutte le altre parole le lascio a voi. Ne ho lette molte, altre le ho ascoltate, alcune delle quali molto precise, utili e puntuali, alcune altre molto meno. Altre ancora per nulla, vergognose, ciniche, schifose, come solo questo nostro tempo riesce ad essere.

Quello che vorrei dire sui fatti di Genova sta tutto qui.

In una foto, che racchiude il meglio del nostro paese e del nostro essere Umani. In una frase, che indica una traccia da seguire per uscire forse non indenni, ma almeno il più velocemente possibile, da questa follia collettiva che tutto sta contaminando. Una frase che ha lo scopo di essere esercizio quotidiano, per non annegare, per continuare a respirare e non soffocare sotto il peso dei predicatori del male, che stanno ormai colonizzando la scena pubblica e l’immaginario collettivo.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

(Italo Calvino, Le città invisibili)

soccorsi genova

I soccorsi dopo il crollo di Ponte Morandi a Genova.
ANSA (www.lettera43.it)

 

 

Io vi conosco

La vostra gioia piena di livore e meschinità nello scoprire che il movente dell’aggressione a Daisy Osakue non sarebbe razzista è la misura della vostra povertà d’animo.
Come se ve ne fosse mai importato qualcosa della vita di chi ha la pelle nera nel nostro pase, dei loro diritti e di come si sentono quando hanno gli occhi puntati addosso, gli occhi del pregiudizio e del disprezzo talvolta.
Io vi conosco, voi che oggi scrivete fieri ed orgogliosi che Daisy non è stata aggredità da razzisti. Vi conosco. Siete quelli che dopo la morte di Soumayla avete scavato nella sua vita nella speranza di trovare un permesso di soggiorno scaduto, una denuncia, un foglio di espulsione. Siete gli stessi che hanno condiviso con la bava alla bocca le foto dello smalto di Josefa. Siete voi, vittime e carnefici allo stesso tempo. Così impegnati a negare che il nostro paese e la nostra società stia cedendo all’odio e alla cultura della sopraffazione verso il più debole. Quotidianamente dediti a quest’opera di rimozione collettiva, dove l’odio verso il diverso e verso il povero, vengono sempre coperti da qualche alibi.
Io lo so perchè siete felici oggi, perchè avete un nuovo alibi per non ammettere quello che invece è evidente nel nostro paese e in europa: il razzismo e l’odio verso la diversità stanno tornando con prepotenza sulla scena della storia.
La vostra gioia è misura della vostra codardia, della paura fottuta che avete di andare incontro all’altro, di stringergli la mano, di fare strada insieme a lui. Questo, si sa, significherebbe fare fatica, compromettersi. Questo si, vi renderebbe davvero felici e renderebbe questo mondo un posto migliore dove vivere.