Quello che vorrei dire sui fatti di Genova sta tutto qui. Ne sento il bisogno, non per prendere parte alla bulimica giostra di commenti di questi giorni. Per provare piuttosto a trovare un modo per uscirne.
Tutto ciò che voglio dire su Genova è racchiuso qui sotto a queste righe che risulteranno una forse inutile premessa. Tutte le altre parole le lascio a voi. Ne ho lette molte, altre le ho ascoltate, alcune delle quali molto precise, utili e puntuali, alcune altre molto meno. Altre ancora per nulla, vergognose, ciniche, schifose, come solo questo nostro tempo riesce ad essere.
Quello che vorrei dire sui fatti di Genova sta tutto qui.
In una foto, che racchiude il meglio del nostro paese e del nostro essere Umani. In una frase, che indica una traccia da seguire per uscire forse non indenni, ma almeno il più velocemente possibile, da questa follia collettiva che tutto sta contaminando. Una frase che ha lo scopo di essere esercizio quotidiano, per non annegare, per continuare a respirare e non soffocare sotto il peso dei predicatori del male, che stanno ormai colonizzando la scena pubblica e l’immaginario collettivo.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
(Italo Calvino, Le città invisibili)

I soccorsi dopo il crollo di Ponte Morandi a Genova.
ANSA (www.lettera43.it)