É tutto il giorno che penso a quei morti. A quei volti che non ho mai visto, che non vedrò mai.
È tutto il giorno che penso a come si può morire annegati. È tutto il giorno che in un modo o nell’altro non riesco a non sentire anche un po’ di mia responsabilità nelle morti di Lampedusa.
Esistenze spezzate assieme alle speranze che ognuno coltivava nel segreto della propria coscienza di uomo, donna o bimbo. Esistenze strappate alla vita, morti annegati, morti straziati.
Annegati nell’acqua e nell’indifferenza. Morti una, dieci e cento volte. Morti perché obbligati a fuggire, morti perché obbligati a partire, obbligati a perdere la dignità di uomini.
Morti anche dopo essere morti, nelle parole degli sciacalli, nelle scelte non fatte, nelle burocrazie del potere. Morti su morti, da anni, nel mare che è il cuor del nostro continente. Un cuore che gronda sangue di innocenti, un cuore cimitero custode della vergogna più grande tra le vergogne di cui dovremo rispondere.
É tutto il giorno che penso a quei morti. A quei volti che non ho mai visto.
Dovremmo fare silenzio questa notte e quelle che verranno, perché ogni parola infondo non farebbe che aumentare le nostre colpe. Dovremmo fare silenzio e pregare, dovremmo ricordarci di restare umani.
Almeno per una notte, almeno questa notte.