PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI, PRIMA DI NON ACCORGERSI PIÙ DI NIENTE

La scena è questa.

Alle ore 01.30 di notte siamo all’ultimo punto in odg in consiglio comunale a Verbania. Il consigliere Immovilli parla di un punto riguardante lo spostamento dell’ufficio del catasto. Senza nessuna attinenza decide di perdersi in parallelismi storici, a sostegno delle sue tesi, di difficile comprensione. Tenuto conto anche dell’ora si fa fatica a stare dietro alla sua dialettica. Ad un certo punto però il mio orecchio viene richiamato all’attenzione. Senza alcun logico motivo il consigliere decide di dire che – cito testualmente – “il tempo poi si incarica di dare ragione alle buone idee, così come è successo in Italia, con il fascismo e Benito Mussolini. In particolare nella prima parte del ventennio, prima del secondo conflitto mondiale”.

Subito sono intervenuto, anche se non era mia la parola, per chiedere una censura da parte della Presidenza e per stigmatizzare l’accaduto con tutta la forza che avevo. Il punto però è un altro.

Il punto è che un consigliere di una Città medaglia d’oro al valore civile per la Resistenza non dovrebbe nemmeno pensare di pronunciare parole del genere nel consesso più alto della Città. Perché significa non avere il senso della storia, oltre che della decenza politica. Significa che si è sdoganato tutto. Significa non sapere, o non voler sapere. O peggio significa sapere e ciononostante condividere. Allora vedete, il punto è che non possiamo abituarci o tollerare, non possiamo farci una risata per la frase un po’ colorita, a mo’ di provocazione, detta all’una di notte. Perché in un Consiglio Comunale della Repubblica il nome di Benito Mussolini non dovrebbe sentirsi, evocato come esempio. Perché il pudore, il senso delle istituzioni, la conoscenza dei fatti dovrebbe imporre a tutti di tenere fede ai valori della Costituzione Repubblicana. E invece no, siamo obbligati a sentire anche questo, che nella prima parte del ventennio Mussolini fece bene. Per intenderci stiamo parlando del periodo caratterizzato da leggi razziali, omicidi politici degli avversari, chiusura di libere associazioni e sindacati, soppressione delle libere elezioni, e potrei andare avanti.

A mio modo di vedere tutto questo è di una gravità inaudita, e penso dovrebbe levarsi un coro unanime di sdegno, non contro la persona, ma contro l’idea che tutto questo sia in fondo normale. E invece non lo è affatto, ma purtroppo sta tornando, nella pancia del paese e della destra di questo paese, come un fatto di normalità. Piero Gobetti aveva ragione quando affermava che:

“…si può ragionare del ministero Mussolini come di un fatto d’ordinaria amministrazione. Ma il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l’autobiografia della nazione…”.

Questa autobiografia non si cancella, anzi si deve studiare, per capire come lasciarla fuori dal nostro comune futuro. Ho timore che molti siano i segnali in senso contrario, ho timore che non si faccia abbastanza per alzarsi in piedi e fermare l’onda nera che avanza. La quale, attenzione, non è certo rappresentata dal consigliere di cui ho parlato, ma di cui lui, forse inconsapevolmente, è strumento.

Oggi è il 10 gennaio, un consiglio dal cuore, anche al consigliere Immovilli. Leggiamo la storia di Otello Pighin e Giuseppe Verginella, due partigiani di cui proprio oggi ricorre la morte, per mano fascista. Leggiamo la loro storia perché è la miglior storia italiana, quella che ci ha permesso di essere qui, di poter discutere liberamente, di poter alzare la voce.

E promettiamoci di alzarla sempre, quando servirà, per dire le cose che andranno dette, per ribadire ciò che andrà ribadito, per non lasciare che le cose capitino senza il nostro protagonismo, per ribadire che ci troveranno “ai nostri posti” sempre.

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